In Polinesia
Nella primavera del 1891, una nave elegante chiamata Océanien attraversa l’Oceano Indiano alla volta della Nuova Caledonia. Tra i suoi pittoreschi passeggeri c’è un uomo di mezza età, grandi baffi scuri, cappello in feltro a tesa larga, un fucile Winchester nel bagaglio, cabina di terza classe. Trascorre le sue ore sul ponte, sguardo dritto verso l’orizzonte, verso l’ignoto, verso il futuro.
È un pittore, è Paul Gauguin.
Mentre sorvolo il primo dei due oceani che mi separano dalla Polinesia, a bordo di un volo Parigi-Papeete, sfoglio il diario di Gauguin e non posso fare a meno di pensare che le mie 24 ore di viaggio, per quanto interminabili mi sembrino, non sono nulla rispetto al tempo che impiegò l’artista francese per raggiungere il suo “paradiso perduto”.
Con le tasche vuote e senza spazio nel caotico mercato dell’arte parigino, spinto dalla smania di scoprire cose sconosciute e dall’ardente desiderio di arricchire la propria opera con un repertorio inedito, Gauguin approda lì dove è nato il mito romantico dei mari del sud, in un Eden disegnato al centro dell’Oceano Pacifico, che farà di lui uno dei più grandi e controversi interpreti del post-impressionismo.
Non appena l’aereo comincia la discesa, davanti agli occhi mi appare una scena surreale: un cerchio perfetto formato da motu, isole remote, ricoperte da una vegetazione lussureggiante, che separano l’indaco dell’oceano dalla vivace tavolozza di blu della laguna. Sono a Papeete, la porta d’ingresso della Polinesia, sogno di avventurieri e patria di esploratori.
Quello di Gauguin con l’isola di Tahiti è un incontro folgorante che cambia per sempre la sua vita e la sua arte.
asciandosi ispirare dalle muse d’oltremare, scopre un nuovo modo di dipingere e un mondo di colori mai visto prima, che descrive nelle pagine del suo diario come un “assalto sensoriale” di viola tenui, blu profondi, e sorprendenti esplosioni di arancio e giallo tra delicate sfumature di verde. Una tavolozza di tinte dense e sorde, tenere e delicate al tempo stesso, che acquisirà via via nuove risonanze musicali e affettive.
L’isola che trovo è molto diversa da quella che Gauguin vide nel XIX secolo ed è ancor più diversa da quella che incontrarono i primi esploratori come Cook, Melville e Stevenson, ma sono armata di tutti i loro racconti e, assieme alla mia guida William, nato e cresciuto sull’isola, inizia il mio viaggio alla scoperta di Tahiti.
Ci sono tre modi per ricostruire l’avventura dell’artista nei mari del sud: le lettere che scrisse alla moglie e agli amici, le sue opere — oggi conservate nei più importanti musei e collezioni private del mondo — e infine il suo diario, che tengo stretto tra le mani.
“Attraverso la vallata di Punaru, la grande fenditura che attraversa l’isola, si giunge all’altopiano di Tamanou. Da lassù si possono vedere il Diadema, l’Orofena, l’Arorai e il centro dell’isola. Molti me ne avevano parlato e decisi di isolarmi lì per qualche giorno. Devi essere pazzo o temerario per andare a disturbare gli spiriti della montagna.”
Lungo la strada costiera meridionale dell’isola, mentre William guida il suo pickup bianco e mi racconta la storia e le leggende della sua terra, segnalandomi i diversi siti archeologici da visitare, il paesaggio, con i suoi colori vividi e i profumi leggeri, mi regala già un assaggio delle sensazioni che Gauguin — o Coquin (“Birbante”), come lo chiamavano — dovette provare mentre dipingeva instancabilmente nella sua casa di legno e palme di cocco.
Nonostante negli ultimi anni sempre più case in cemento abbiano preso il posto delle tipiche abitazioni coloniali, il centro della città mantiene un carattere semplice e il suo fascino antico. Il Boulevard Pomare, dal nome della regina di Tahiti, conduce a Rue Cardella, dove si trova il caratteristico mercato centrale, un edificio in stile coloniale su due piani, dove trovare frutta, fiori, piatti locali e le Vahine, donne tahitiane con il tipico vestito rosso a fiori bianchi e le ghirlande di fiori tra i capelli, impegnate a intrecciare collane e ceste. Poco distante, la chiesa e la residenza coloniale sono i primi luoghi che Gauguin dovette aver visto non appena giunto a Papeete, prima di decidere di allontanarsi completamente dalla città, a Mataiea, nell’entroterra, alla ricerca dello spirito più antico dell’isola.
Secondo un inventario del 1892, conservato in uno dei rarissimi taccuini di schizzi sopravvissuti, il Carnet de Tahiti, Gauguin realizzò circa una trentina di opere in queste isole. Si tratta di scene di vita quotidiana, ritratti, nature morte, composizioni di figure e paesaggi, tra cui compare spesso la sua casa di Mataiea. Proseguendo lungo la costa, una breve passeggiata di pochi chilometri ci conduce fino ai Giardini di Vaipahi ad Ataiti, dove cascate e piante tropicali creano una vera e propria oasi di pace affacciata sull’oceano. Ascolto le leggende che ruotano attorno a questi luoghi e alla loro flora, affascinata dal rispetto che viene loro tributato come antichi spazi sacri in cui ci si recava per purificare l’anima. Sembra che Gauguin visitasse questo luogo anche per fare il bagno sotto le cascate.
Dopo una sosta per pranzo a base di un tipico poisson cru e dei meravigliosi racconti di William sulla Baia di Cliffs, uno dei posti migliori al mondo per il surf, ci dirigiamo verso la seconda tappa: il Giardino Botanico Harrison Smith. Qui troviamo alberi imponenti di quasi cinquant’anni, fiori colorati, graziosi stagni con ninfee e una flora ricchissima che fa capolino in molti dipinti di Gauguin, impregnati di un’estetica primitivista che nel XX secolo conoscerà brillanti sviluppi con artisti come Matisse, Derain e Picasso.
Poco più a est si raggiunge il Museo Gauguin, sfortunatamente chiuso da diversi anni per lavori di ristrutturazione. Dalla cancellata d’ingresso si riesce a vedere solo il giardino e la struttura in legno che ospitava lo spazio espositivo. Pazienza…il museo non ha mai conservato opere originali dell’artista, ma solamente alcune ceramiche, opere in legno, diverse riproduzioni e qualche fotografia. L’isola stessa è il vero museo di Gauguin.
Nel 1893, Gauguin raccoglie i suoi dipinti, fa le valigie e rientra in Europa. Tuttavia non trova l’accoglienza sperata né da parte degli amici né dal mercato dell’arte. Così, nel 1895, decide di salutare per sempre quel mondo e si rimette nuovamente in viaggio per la Polinesia: prima a Bora Bora, poi a Moorea e infine nelle Isole Marchesi, situate 1500 km a nord-est di Tahiti, dove rimarrà fino alla fine dei suoi giorni.
A Hiva Oa, oggi anche chiamata “l’isola di Gauguin”, all’ombra dei grandi Tiki, si trovava la Maison du Jouir, l’abitazione-atelier del pittore, andata perduta e oggi sostituita da una fedelissima riproduzione, accanto alla quale si trova il Centro Culturale Paul Gauguin. A pochi chilometri a est di quest’isola, anche definita “dimora degli dei” secondo la leggenda, di fronte alla baia di Taaoa, si trova il cimitero dove è sepolto l’artista.
Mentre preparo i bagagli per tornare in Europa, mi chiedo se Gauguin abbia trovato la pace interiore che cercava. Non lo so, ma ogni mattina all’alba, quando la luce si posa sull’isola, è come essere immersi nell’eternità e...
...quando cala la notte in Polinesia, il cielo sembra entrare prepotentemente nella stanza, accompagnato dal dolce suono della natura tropicale e dal Noa Noa.
Per anni ho cercato Paul Gauguin nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo. Ho ammirato le sue opere al MoMA, al Musée d’Orsay e persino al Louvre. Durante il mio viaggio ai tropici, sorprendentemente, non ho trovato un solo quadro dell’artista, ma ho riconosciuto tutte le sue opere più belle.
Mentre la macchina percorre la costa dell’isola, dirigendosi poi verso l’interno nella zona delle cascate e lungo la montagna, le sue opere appaiono una dopo l’altra, immerse nei blu profondi del mare e nei verdi della natura. Mi sembra di vederle solo ora, per la prima volta, su quella gigantesca tela che è il paesaggio della Polinesia, ancor più vivido sullo sfondo di un’estate calda e umida. E così, giorno dopo giorno, mentre le albe e i tramonti si susseguono, regalandomi spettacoli senza precedenti, finalmente conosco Gauguin.
Maruru! (“Grazie” in lingua tahitiana)
noa noa
Noa Noa è il profumo di Tahiti, quel profumo che anche Gauguin deve aver sentito, il monoï, ovvero un olio profumato che nasce dalla macerazione in olio di cocco del fiore Tiaré. Il fiore di Tiaré cresce e fiorisce solo in Polinesia: tutti i tentativi di coltivarlo altrove sono sempre falliti.
Noa Noa è il titolo del diario polinesiano di Gauguin, pubblicato per la prima volta nel 1897. Si tratta di un’opera unica e ricca, che conserva un potente fascino di mistero non solo nelle parole dell’artista, ma anche nei disegni acquerellati, nelle xilografie colorate, nei ritagli e nelle fotografie che l’artista inserisce al suo interno.
Il volume qui presentato è una rara riproduzione di pregio del manoscritto originale, realizzato in collaborazione con il poeta simbolista Charles Morice.